Avevano mobilitato tutti gli apparati investigativi della Polizia di Stato le continue lettere anonime di minaccia ricevute dalla presidentessa dell’A.MAT.A.S., un’associazione che si batte contro la violenza sulle donne e il femminicidio, sorta recentemente a Matera.
Gli investigatori della Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile, che hanno considerato molto seriamente il caso impegnando tutte le risorse a propria disposizione, in tre mesi sono riusciti a fare chiarezza sulla vicenda.
Ciò ha permesso di ridare serenità all’ambiente degli operatori che s’impegnano per porre un freno al fenomeno della violenza di genere che colpisce tante donne oggi anche nel territorio del materano, come in Italia.
Nove sono state le lettere di minacce ricevute dalla donna, l’ultima delle quali recitava: “farai la fine di tua sorella”, scritta con i caratteri di stampa ritagliati da un quotidiano e incollati su foglio bianco A4. Sua sorella fu infatti vittima di femminicidio nel 2010 ad opera dell’ex compagno, suscitando grande sgomento nella comunità materana.
Perciò aveva ricevuto molto credito dalle istituzioni locali: quando l’associazione nacque, il Questore, il Prefetto e persino il Viceministro dell’Interno, avevano mostrato la loro sensibilità nei confronti della sua rappresentante, dichiarandosi pronti a sostenere il sodalizio per i nobili propositi che si prefigge.
Le lettere pervenute prive di impronte digitali rappresentavano un ostacolo di non facile soluzione per gli investigatori che avevano pensato di trovarsi di fronte ad un professionista del crimine.
Così sono stati messi in campo anche gli operatori della Polizia Scientifica di Matera e di Bari per dare la caccia all’autore delle misteriose missive.
Le lettere non venivano spedite attraverso i servizi postali, ma erano imbucate direttamente nella cassetta delle lettere della vittima. Così, fingendosi operatori dell’Enel, gli agenti hanno collocato una telecamera per individuare chi
materialmente recapitava le missive.
Dal filmato così registrato è saltata fuori la sorpresa: il “postino anonimo” era la stessa presidentessa, munita di guanti di lattice alle mani per non lasciare impronte digitali.
La perquisizione effettuata poi nell’abitazione della donna, che è anche la sede dell’associazione, ha permesso poi di acquisire anche il materiale dalla stessa utilizzato per confezionare le lettere, tra cui i giornali ritagliati, da cui ricavava i caratteri di stampa per comporre le parole.
Nei confronti della donna, che non ha dato alcuna spiegazione per giustificare il suo gesto, è scattata la denuncia all’autorità giudiziaria di calunnia continuata aggravata a carico di ignoti.