La lectio magistralis di Alberto Campo Baeza nella città dei Sassi: emozioni e progetti per i giovani materani

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Ci hanno definiti bamboccionichoosy, generazione liquida, precari esistenziali che vivono in un Paese non per giovani. Restare? Partire? Ritornare? Certo è che l’identità si costruisce nel conflitto e nel divenire incessante si trasformano i contrari, forgiando l’individuo.  Il ruolo delle istituzioni, della scuola e dell’università, in questa missione, è indiscusso, ma quando il talento  incontra un mèntore i risultati possono essere straordinari. Ne è d’esempio la lectio magistralis del maestro spagnolo Alberto Campo Baeza, tenutasi a Matera il 28 marzo in un teatro gremito di giovani vogliosi, ardenti di idee, catalizzati dinnanzi ai progetti e alle parole di uno dei massimi esponenti dell’Architettura contemporanea. Luce naturale e precisione  s’ intersecano nelle sue opere, frutto di una costante ricerca della bellezza. Essenzialità, razionalità, minimalismo, filosofia danno vita a quella che è La idea construida, raccolta dei testi più interessanti di Campo Baeza, artefice di un’architettura senza tempo, plasmata sull’uomo.
Al prestigioso appuntamento hanno preso parte attiva gli studenti di Architettura dell’Università degli Studi della Basilicata del quinto anno e venti studenti della Politècnica di Madrid a conclusione del “Matera Mending 2015”, workshop di progettazione architettonica tenutosi a Matera dal 22 al 28 Marzo, con l’obiettivo di discutere sul recupero e sulla riqualificazione delle opere incompiute nella città che si appresta a diventare la Capitale europea della Cultura del 2019.  Vedere esterrefatta una personalità di tale spicco dinnanzi allo spettacolo dolente dei Sassi di Matera può renderci consapevoli di quale sia il potere contrattuale della nostra città e di come la tenace caparbia dei giovani non possa far altro che giovare a un contesto così gerontocratico.
E’ risaputo che nascere al Sud porta con sè l’anima del migrante, ponendo l’individuo in uno stato conflittuale di odi et amo per la propria terra. Scriveva Carlo Levi nel testo che ha consacrato la svolta nella storia di Matera: “Ma che abbiamo da sperare? Qui non si può vivere. Bisogna andarsene.” Tuttavia, sono ben lontani i contorni dell’umanità desolata e desolante descritta dal Levi, ma il pittoricismo e l’impressionante bellezza permangono ed emergono dai panorami mozzafiato della nostra città. Ciò nonostante occorre agire concretamente per trasformare questa opportunità in sviluppo: guardare alle tradizioni senza nostalgia e volgerle al futuro, porle in un contesto più competitivo. E questo non avviene senza difficoltà. La vera sfida è accettare che le tradizioni vengano messe in discussione dai non italiani per farle evolvere all’interno di un contesto cosmopolita che possa esso stesso plasmare una nuova italianità.
La risposta al quesito iniziale (andare o restare?) non la troverete in un articolo.  D’altronde, si tratta di una scelta molto personale, una scelta che coinvolge aspetti emotivi e razionali. La decontestualizzazione e la contestualizzazione in un nuovo Paese fungono da stimolatori, positivi e negativi. La risposta giusta, forse, potrebbe essere “andare via per poi tornare”. Sicuramente, solo una feroce determinazione nel voler cambiare le cose che non ci piacciono, accompagnata dalla volontà di apprendere con entusiasmo da chi l’esperienza l’ha costruita, possono cambiare il corso della storia. Seminari, conferenze, lezioni universitarie non sono mai tempo perso. Nella peggiore delle ipotesi sono una grandissima emozione, un’opportunità di crescita morale considerevole. E noi vogliamo crescere, vogliamo vivere, vogliamo metterci alle spalle l’Italia della crisi e vogliamo un orizzonte, una cultura, un senso di comunità. E finché non avremo tutto questo, non ci arrenderemo. Fatevene una ragione.

Veronica Mestice

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